Tropea. Quella rivolta dei 23 casali di 300 anni fa

Tropea. Quella rivolta dei 23 casali di 300 anni fa

La storia non scritta si ripresenta nel 2022 con una ricorrenza che interessò la città di Tropea al tempo in cui amministrava i casali del suo circondario. Per l’estate sono previste diverse conferenze in ricordo dell’evento

Togliere la polvere accumulatasi in 300 anni non è un compito facile, sempreché, una volta visto cosa c’è sotto, possa essere utile all’attuale generazione.

Ma viviamo i tempi della memoria in cui il non dimenticare sembra essere un assunto determinante per le dinamiche degli attuali valori culturali e per l’affermazione di alcune componenti politiche, centrali e periferiche.

Dunque avanti tutta!

Il XVII e XVIII secolo furono anni funesti per le rivolte contro i vari regni, ducati e marchesati della penisola, infatti erano insurrezioni popolari originate dalle medesime cause: sottomissione e povertà.

Nel XVIII secolo quando la Calabria passò all’autorità della corona degli Asburgo d’Austria tutti i casali del circondario di Tropea erano «del nostro Clementissimo, ed invitto Monarca fedeli vassalli» e «son divenuti schiavi de’ Sindaci pro tempore della Città di Tropea, alla grande avidità de’ quali, non solo le proprie sostanze, i propri sudari, ma la stessa vita han bisognato infelicemente sacrificare».

I residenti, da Capo Vaticano a Zambrone, erano contadini, braccianti, artigiani, ma anche intellettuali che versavano i contributi a Tropea, spesso ingenti.

Una realtà che relegava da molti anni i «miserabili casali a vivere oppressi e con qualche angustia».

Sfogliando alcuni libri di storia locale, appunti ingialliti e note di cronache antiche recuperate nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, l’unica notizia certa che emerge di quella lontana e bellicosa estate del 1722, in quel di Tropea e dintorni, è che si consumò una sommossa popolare contro le vessazioni perpetrate dai sindaci, tesorieri, mastrogiurati e amministratori vari, ruoli che si avvicendavano nel governo territoriale tra parenti di primo, secondo e terzo grado sempre della classe nobile.

Ma era in tutta la Calabria, Citra e Ultra, che dominava il turpe e disumano potere sulla povera gente dove il diritto alla vita dipendeva dall’obbedienza al padrone e dal sudore della fronte che grondava per le quindici ore al giorno di lavoro, con la benedizione del potere ecclesiastico i cui soli possedimenti fruttavano in ogni singola Curia non meno di 1500 ducati (che al corrispondente odierno potere di acquisto si aggira su € 70.000).

Chi avrebbe potuto testimoniare vicende così rilevanti come quelle delle rivolte locali, non lo ha fatto, chi invece ha riportato la semplice notizia di cronaca, in quello che ci accingiamo a ricordare, (ci sono due nomi: Tommaso de Sarno e Gennaro Carissimi) ha lasciato troppi interrogativi, forse per opportunità e convenienza.

Riassumiamo, per quanto ci è possibile, cosa è successo e cosa non era più evitabile, in particolare sulla rivolta di cui ricorrono i 300 anni.

La scintilla, che il 6 agosto 1722 accese il fuoco nel casale di Spilinga e divampò incontrollato in tutti gli altri 22 villaggi, fu provocata dall’imposizione di una tassa di 300.000 ducati (ossia 15 milioni di euro) che i residenti avrebbero dovuto versare nelle casse della città di Tropea, probabilmente suddivisi per “fuochi”.

Una tassa richiesta per gli affari del Regno, certamente esagerata e ingiusta, poiché i governanti di Tropea non avevano tenuto conto che i lavoratori a giornata (persone viventi dì per dì) dovevano essere esentati da questo pagamento, così come prevedeva l’ordinanza che la Regia Camera della Sommaria due anni prima aveva decretato.

Ma bisogna andare un bel po’ indietro nel tempo per comprendere che le afflizioni dei circa 7817 residenti nei 23 casali (Tropea in quel periodo ne contava circa 10 mila) andavano avanti senza sosta né pietà, superando ogni limite di sopportazione cristiana.

Per gli appassionati dell’andamento demografico di Tropea nel corso dei secoli, ricordiamo che la città registrò il più alto numero di abitanti, ben 17.620 abitanti (ossia 3.520 fuochi), nel 1595 e quello più basso, di 3.500 abitanti, nel 1743.

Questi erano i casali che dipendevano da Tropea: Parghelia, Zaccanopoli, Alafito, Dafinacello, Dafinà, Fitili, Drapia, Zambrone, S. Giovanni, Brattirò, Gasponi, S. Domenica, Brivadi, Ciaramiti, Caridi, Carciadi, Ricadi, Spilinga, Panaia, Lampazoni, Barbaluoni, Orsigliadi, S. Nicolò.

Le rivolte contro Tropea, tra una guerriglia e l’altra, durarono dunque moltissimi anni. Basti pensare che quella guidata dal marinaio di Parghelia Leonardo Drago, il quale aveva coinvolto quasi tutti i casali, datata 1647-1648, venne repressa dopo un veemente intervento militare ordinato dal vicario generale Francesco Carafa.

L’altra, quella guidata da Orazio Falduti di Spilinga, un impiegato del Tribunale Provinciale, si consumò 74 anni dopo: era il 6 agosto 1722.

A differenza delle precedenti rivolte, questa fu la meglio organizzata e partecipata tant’è che si trattò di un vero e proprio assedio che durò settimane: “da Spilinga si diffonde negli altri villaggi del promontorio Vaticano… Per lo che l’incendio, in quel medesimo giorno, da abitato ad abitato, immantinente s’appiccò”.

I rivoltosi chiusero l’acqua che arrivava in città, sequestrarono tutta la farina dei mulini, impedirono qualunque commercio in entrata ed in uscita dalle mura e per i cittadini ci fu penuria di pane, frutta, olio, verdura e prodotti ittici.

È probabile, sino ad ulteriori e approfondite ricerche, che le concessioni offerte ai Casali, per il tramite di due messaggeri Padri Agostiniani Scalzi per far cessare l’assedio, sarebbero state onorate.

Nelle Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea (Nicola Scrugli, Walter Brenner Editore, 1891), inoltre, si legge: “sinanco promisero che l’università concederebbe l’esenzione del donativo e di qualunque pagamento, purché si fosse desistito dalle ostilità”.

In queste offerte la città di Tropea desisteva praticamente dal pretendere quanto richiesto, ma con il passare dei giorni la situazione precipitò, da una parte non si deposero le armi e dall’altra emersero tangibili titubanze poiché non tutte le decisioni erano di competenza dell’università.

Diciamo che, non correndo buon sangue, la fiducia era una variabile indipendente e incontrollabile.

Si era arrivati ad un passo dallo scontro armato, scongiurato solo grazie a monsignore Ibanez il quale seppe far togliere l’assedio e riconoscere alcune tra le richieste avanzate dai rivoltosi.

Tuttavia, dopo la resa, o meglio l’armistizio, giunse a Tropea il Preside della Provincia e il Caporuota, i quali, in accordo con il generale Vallis e con le massime autorità locali, decisero di far arrestare ‘per aver commesso un crimine di lesa maestà’ i principali capi della rivolta, ossia Giuseppe Zerfino, Antonio Gaetano e Sergio Gatto.

I primi due furono giustiziati sul patibolo, il terzo venne pubblicamente frustato a sangue e portato in galera perché era minorenne.

Si era chiuso un capitolo della storia locale, ma le rivolte continuarono sino a quando, nei primi anni del 1800, i casali non diventarono autonomi.

Per la cronaca, nel 1647 i sindaci di Tropea furono Annibale d’Afflitto e Francesco Paolo Paparatto “ma in seguito alla rivolta di Masaniello a Napoli, era venuto il Duca di Carafa, Vicario del Regno, al quale i due sindaci cederono per omaggio il Governo”; nel 1648 subentrarono Paolo Braccio e Scipione Barone; nel 1722 troviamo Luigi Galluppi.

Potremmo concludere qui, ma abbiamo detto nulla o quasi sulle sofferenze e sui soprusi subiti dalla gente comune nei secoli passati che, sotto certi aspetti, potrebbero essere paragonati ad alcune odierne realtà popolari.

Sappiamo che dopo 300 anni “i cosi (di quel tempo) quandu si cuntunu parunu nenti”, dunque non è escluso che, in occasione di questa ricorrenza, la prossima estate, si svolgerà qualche conferenza con la partecipazione di eminenti storici che, auspichiamo, saranno riusciti a togliere dell’altra polvere, come accennato all’inizio, accumulatasi nel tempo, per svelarci qualche ulteriore verità, che valga la pena sapere, sulla rivolta dei casali.

Ci aspettiamo un coinvolgimento più forte perché solo unendo le forze, nel rispetto dei reciproci ruoli, si possono assumere scelte utili, concrete e coraggiose.

di BRUNO CIMINO

Redazione Informa

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