Curiosità dal passato. Un nostro lettore ci segnala un fatto riguardante la frazione di Brattirò.
Vi segnaliamo una curiosità storica da leggere, segnalataci dal nostro lettore Eugenio Sorrentino.
ANDREA ORLANDO, BRIGANTE DI MONTE PORO (di Bruno Polimeni)

Nel “Liber mortuorum” relativo all’anno 1862, al n.29 don Nicola Sollazzo, parroco del Villaggio di San Ferdinando di Rosarno, registra l’atto di morte di don Andrea Orlando, figlio di Felice e di Annunziata Mumoli, avvenuta il 21 ottobre di quell’anno. Si spegneva così per “morte naturale” in una borgata della piana di Gioia Tauro, alla venerabile età di 86 anni, il celebre brigante ricordato ancora oggi col nome di Capitano Orlando.
Di questo personaggio gli storiografi ci tramandano le sue gesta di capo massa assieme a quelle del terribile e sanguinario Francesco Moscato detto il “Bizzarro” di Vazzano.
Si narra che Andrea Orlando, nato a Spilinga il 26 settembre 1776, fosse un onesto contadino, il quale passava le giornate a lavorare nei campi del pianoro di Monte Poro.
Ma, una sera, tornando a casa, trovò la madre piangente perché l’esattore delle tasse, dopo averle ingiunto di pagare dei tributi morosi, aveva eseguito il pignoramento di una caldaia di rame: unico oggetto di un certo valore trovato in quella misera abitazione.
Infuriato, Andrea imbracciò, allora, il fucile e uccise l’esattore. Consumato l’omicidio, si diede, quindi, alla macchia per non essere catturato dalle guardie civiche, che, senza soste, gli diedero, poi, invano, la caccia. Incominciò così la lunga odissea di questo giovane che, da onesto lavoratore, si fece brigante, divenendo, con la sua azione, il simbolo delle ostilità contadine verso i proprietari di terre. La sua storia è verosimile a quella di tanti calabresi che, esasperati dalla miseria e soggiogati da tanti balzelli, per vendetta, o per onore, o per puro rifiuto all’autorità costituita, diedero vita, specialmente durante il decennio francese, al triste fenomeno del brigantaggio. In Calabria, ai primi del 1808, un folto gruppo di bande di 2000 uomini operava sul versante tirrenico tra Reggio e Catanzaro al comando del Bizzarro, del suo luogotenente Andrea Orlando, di Perri, Ronca, Parafante e di Benincasa detto il viceré. «E’ indubbio che quel brigantaggio esprimeva, a suo modo, il malessere delle plebi rurali, ed era una risposta primordiale e violenta alla progressiva espropriazione dei diritti contadini».
Dapprima Orlando formò una banda di uomini che, unitasi a quella del Bizzarro, dalle alture del Poro si spostava verso il Mesima, fino ad arrivare nei boschi dei Piani della Corona o della Melia.
Del suo operato, come di quello di altri famosi briganti, si servì la Corte borbonica, la quale, durante l’esilio in Sicilia di Ferdinando IV (quando Murat assunse il trono di Napoli, nell’agosto del 1808), tentava di promuovere l’insurrezione nel regno di Napoli. A tal fine era stato organizzato un corpo di borbonici volontari chiamati “guide calabresi” agli ordini del generale Sherbroocke, le quali avevano il compito di contattare “i massisti” della costa calabra. Queste guide sbarcavano spesso sulla spiaggia di Gioia Tauro e sulle altre coste tirreniche per portare notizie e proclami della Corte, nonché polvere da sparo e armi da usare contro l’esercito francese. Nel 1809, nel tentativo di riprendere il regno, gli Inglesi e i Borboni organizzarono una spedizione che, partita da Palermo e da Milazzo con 60 navi da guerra e 206 da trasporto, navigò verso la costa calabra: un gruppo di queste navi con quattrocento briganti e soldati approdò nel golfo di Gioia.
In quegli anni i briganti erano i migliori alleati degli Inglesi dai quali ottenevano danaro, armi, coloniali e zucchero, mentre in cambio fornivano grano, carne e altre derrate alimentari che taglieggiavano ai proprietari locali soprattutto della Sila. Ma, dopo una accanita resistenza, il pugno di ferro del generale Manhes decimò questi uomini. Molti si arresero perché re Gioacchino aveva promesso di graziare coloro che sarebbero passati nelle sue file. Infatti, Andrea Orlando, nel novembre 1808, informava il borbonico colonnello Carbone che molti dei suoi si presentavano «giacché il re Gioacchino aggraziava tutti» e per questo egli «dubitava» dei suoi stessi compagni.
Ricevute queste notizie, gli anglo-borbonici, preoccupati che le masse brigantesche venissero a scomparire, pensarono di chiamare in Sicilia i capi per riorganizzarli e formare un nutrito corpo di volontari.
Bizzarro e Orlando insieme con Ferdinando Rumbolà di Brattirò, denominato “l’abate Pittea” con una barca di padron Salvatore Burzumati si imbarcarono per Messina ed ebbero un colloquio col quartier mastro Bumbury, ma non si accontentarono di quanto fu loro promesso e se ne tornarono in Calabria alle grassazioni, certo per loro più redditizie. Ma ben presto, Andrea Orlando, non condividendo le azioni sanguinarie del Bizzarro, si staccò dalla banda di quest’ultimo e con i suoi uomini continuò la vita di brigante nelle campagne di Monte Poro. Tuttavia egli venne braccato dai soldati francesi e la sua forza si ridusse a 60 uomini; per cui si scoraggiò e sospettò di tradimento i suoi stessi compagni. Perciò stanco di stare alla macchia e sfiduciato si presentò alle autorità francesi dalle quali venne “aggraziato”. Offrì allora la sua collaborazione impegnandosi nella cattura dei vecchi compagni di ieri dei quali conosceva i covi e le astuzie. In particolare aveva giudicato di prendere vivo o morto il Bizzarro. Per le sue capacità e per il prezioso servizio prestato alla causa dei Francesi, gli venne conferito il grado di capitano dell’esercito di Gioacchino Murat.
Nel 1815, restaurato il governo borbonico col ritorno sul trono di Napoli di re Ferdinando, Andrea Orlando si ritirò a vita privata e si stabilì a Palmi dove sposò Maria Rosa Suriano, una ragazza del luogo appartenente ad una agiata famiglia di agricoltori. Di recente, nel consultare alcuni atti rogati dal notaio Domenico Antonio Saladino di Rosarno (1827-1857), depositati presso l’Archivio di Stato di Palmi, abbiamo scoperto che l’Orlando passò il resto della sua vita a San Ferdinando ed abitò in una casa dei marchesi Nunziante, dove si dedicò alla cura dei suoi due figli: Felice e Annunziata.
Degli stessi atti notarili apprendiamo, inoltre, che il 16 agosto 1845 “don” Andrea Orlando «proprietario domiciliato in San Ferdinando» dà in dote al figlio don Felice – il quale doveva contrarre matrimonio con donna Caterina Adamo di Reggio Calabria – «una casa palaziata sita in Palmi al rione Rosario» e un fondo olivetato di tomolate venticinque sito in agro di Gioia Tauro, contrada Lacchi.
Con successivo atto del 29 agosto 1845 dona alla figlia Annunziata – promessa sposa a Domenico Giordano di Luigi da Reggio di professione “pittore” – la terza parte del fondo Lacchi, 40 ducati in contanti, nonché un mobilio ed “oro lavorato” del valore di 250 ducati.
La permanenza del capitano Orlando in San Ferdinando è anche attestata dalle liste elettorali del Comune, relative all’anno 1861, nelle quali risulta che lo stesso è uno dei pochi cittadini idonei “eleggibili” a cariche pubbliche.
Ma, col passare degli anni, don Andrea, sentendo il peso della vecchiaia ed «essendo a letto ammalato di corpo, ma sano di mente», decide di dettare testamento. E alla presenza dei testimoni: dottor Giuseppe Ferrari, medico di Rosarno, don Rosario Parrelli e don Nicola Morabito da Palmi, proprietari, e Pasquale De Vita, calzolaio da San Ferdinando, il 15 luglio 1853 sottoscrive con mano tremante le sue ultime volontà, lasciando alla propria moglie Maria Rosa Suriano «la metà di tutto quanto gli appartenne».
Si spegnerà di morte naturale in questo Villaggio il 21 ottobre 1862 alla veneranda età di 86 anni, come un vecchio saggio, il quale, dopo aver deposto la pistola e l’archibugio, si ritira in pensione assumendo la qualifica di “proprietario”.
La tradizione orale riporta che per i suoi servigi resi alla famiglia Nunziante, la marchesa di Albano, Gabriella Spiriti, ricca proprietaria terriera della laboriosa Frazione di Rosarno, provvedette a far celebrare per lui solenni funerali e a traslarne la salma nel cimitero di Spilinga, paese natale dell’ex brigante, che la leggenda popolare tramandò come il bandito “galantuomo” difensore dei contadini oppressi del Monte Poro.
Per rispetto alla storia,Andrea Orlando sposa Maria Rosa Suriano, non nel 1815 come scrive il Polimeni, ma nel 1810 e tiene la sede della nuova famiglia a Spilinga dove nascono i figli Nunziata nel 1811 e Felice nel 1813 come risulta dagli atti dei Registri di nascita del comune di Spilinga. Ti allego copia del certificato di nascita di Nunziata.
Salve gorrei sapere se ha qualche altra notizia sui mumoli essendo miei antenati grazie