Intervista a Pasqualino Pandullo, caporedattore del Tgr Rai Calabria

«Ai giovani che vanno via dalla Calabria dico di formarsi per bene e poi tornare qui. C’è tanto da fare!»
Forse non tutti lo sanno ma alla guida della redazione del Tgr Rai Calabria c’è un giornalista tropeano: Pasqualino Pandullo.
Lavora in Rai da oltre trenta anni e questo nuovo e prestigioso incarico è sicuramente un premio alla sua professionalità ed alla cura con cui ha sempre svolto il suo lavoro nel tempo.
Attento agli sviluppi della nostra regione, che lui osserva da un punto di vista privilegiato, è anche operatore culturale nella nostra città, dove è stato il patron e fra i fondatori del Premio Letterario Città di Tropea, organizzato dalla Accademia degli Affaticati di Tropea, che ha portato più volte la nostra città alla ribalta nazionale.
A lui abbiamo posto una serie di domande che ci consentono di tracciare un quadro complessivo sulla complessità della nostra regione, ma anche le direttive verso cui deve indirizzarsi la città di Tropea e con essa tutto il comprensorio.
Non abbiamo tralasciato di chiedergli le sue osservazioni sulla pandemia e qualche riflessione sul lavoro di giornalista, legata alle sue più belle esperienze professionali.
Da più di un anno sei stato nominato caporedattore del TGR Rai Calabria. Sei il primo giornalista tropeano a ricoprire questo ruolo molto prestigioso nell’ambito dell’informazione regionale. Cosa significa per te e come vivi quotidianamente questo impegno?
Per me significa il coronamento di una carriera, iniziata nel 1988 nell’emittente pubblica radiotelevisiva. Un percorso che si è svolto, volutamente e orgogliosamente, tutto all’interno della nostra regione. Vivo quest’impegno anzitutto con riconoscenza nei confronti della Rai, che è la più importante azienda culturale del Paese. Lo vivo con entusiasmo. Ma anche nella consapevolezza che la complessità della Calabria, ogni giorno, propone una sfida nuova a me e a miei colleghi, da affrontare con la massima professionalità.
Gli inizi della tua carriera risalgono agli anni ottanta. Da allora osservi e racconti la nostra regione. Come è cambiata?
Mi sembra ieri, ma quanto tempo è passato! Però vedi, io non mi soffermerei tanto sui cambiamenti politici, o sociali, o economici… Quelli hanno un denominatore, a me sembra, in qualche misura comune a ogni territorio. È tutto l’Occidente ad essere stanco, come dice Giuliano Ferrara, da anni. Ciò che invece ha fatto da spartiacque è l’avvento della tecnologia digitale. Pensa ai siti internet e ai social media. Hanno prodotto un cambiamento delle modalità dell’informazione, un sistema che dà forma rischia di diventare sostanza. In una regione fragile come la nostra, occorre pensarci.
Che quadro possiamo tracciare della nostra regione in questo lungo anno di pandemia?
Ha messo a nudo la gracilità della nostra rete sanitaria, debilitata anche dalle limitazioni imposte dal rientro dal debito. Se riuscissimo a ricavare un bene dal male, pur da un male tremendo come la pandemia, potremmo forse colmare tante lacune, avvalendoci non solo delle risorse finanziare messe in campo per fronteggiare il coronavirus, ma anche attrezzandoci di risposte organizzative adeguate alle domande poste dall’evento covid. Ci sono tanti giovani capaci, pronti a formarsi, che non chiedono altro che di lavorare.
Quali sono le linee guida che adotti nel tuo lavoro?
C’è un vecchio adagio che dice “dare voce a chi non ha voce”: è una prerogativa del servizio pubblico che continua ad affascinarmi. Un altro dice “dare spazio alle notizie positive, non solo a quelle negative”: non è scontato come sembra, ma ci provo. Chiaro che queste risposte da sole non bastano, quando si è al centro di tante aspettative, di interessi contrapposti, a volte di tensioni. Coltivo il rispetto di tutti, a tutti chiedo di rispettare il nostro lavoro. Ma poi fondamentale è il rapporto con una Redazione formata da ottimi professionisti, come quella del TGR Calabria, che nei prossimi mesi si rinnoverà ancora. Ascolto i miei colleghi, i loro stimoli, cerco di metterli nelle condizioni migliori per lavorare.
Il ricordo e gli insegnamenti più belli che hai avuto?
Tanti. Il primo ricordo che mi viene in mente è legato ad uno dei tanti passaggi drammatici della nostra storia recente: l’omicidio a Lamezia del sovrintendente Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano. L’indomani arriva a Lamezia il Presidente Cossiga e tocca a un mio servizio aprire sia il TG2 (che all’epoca iniziava alle 19:45), che il TG1 delle 20 condotto da Angela Buttiglione. Un ricordo certo non bello, significativo però da un punto di vista giornalistico. Insegnamenti? Ogni giorno, lo dico senza retorica. Potrei se vuoi racchiuderli nell’esempio e nello stile di un giornalista meraviglioso quale Vittorio Citterich, col quale conversavo spesso a Tropea. Lui era legatissimo alla nostra cittadina, dove trascorreva le vacanze estive.
A proposito, il tuo legame con Tropea è sempre forte e inossidabile. Hai dato vita, con altri amici, al Premio Tropea che ha portato il nome della nostra città alla ribalta nazionale. Che altro tipo di iniziative vedresti per mantenere alta l’attenzione su questa cittadina che possiede senza dubbio un alto valore storico ed artistico oltre alle sue bellezze paesaggistiche?
Qualunque evento si svolga a Tropea, che ha una capacità di attrazione eccezionale, è potenzialmente degno della ribalta nazionale. Certo, bisogna curarlo nei dettagli, affidarsi a specialisti, e in questo il Premio Letterario ha rappresentato un modello, studiato e riprodotto anche altrove. Io penso quel che pensava Raf Vallone, il quale immaginava Tropea come luogo d’elezione per artisti, scrittori, intellettuali, scienziati, che nella bellezza del suo mare, nella dolcezza del suo clima e nella carezza della sua gente, trovassero occasione di riposo, possibilità di confronto, fonte d’ispirazione. Quindi non una singola iniziativa, ma davvero un tipo di iniziative, e aggiungerei di strutture, che ruotino attorno a questo progetto. Spesso ad esempio mi chiedo come mai non si sia ancora riusciti a costruire un teatro, che non solo d’estate potrebbe catalizzare questo genere di attività.
Raccontaci un po’ del Premio Tropea, come nacque e come si svolse.
Il Premio Tropea letterario nazionale nacque col supporto di un’associazione, l’Accademia degli Affaticati, formata da un gruppo di “visionari” radunati dal compianto professore Lino Daniele. Grazie ad una formula originale e a un Comitato tecnico scientifico di assoluto valore, conquistò gradualmente il favore del pubblico e della critica, ma soprattutto dei media, fino ad essere citato fra i primi cinque Premi letterari d’Italia dal settimanale Panorama. Un anno il vincitore venne ospitato in diretta da “Linea Notte” del TG3. Così, riuscì ad intercettare finanziamenti congrui e poté generare un vero e proprio Festival di lettura e scrittura, la cui gestione comportò però un allargamento della base decisionale. E divenne un’altra cosa. Ma il Premio Tropea, inteso come concorso letterario, sul quale non sono da escludere tuttora mire esterofile, è e resta un format di proprietà dell’Accademia degli Affaticati.
Qualche anno fa, durante un nostro incontro, mi dicesti che tra le cose importanti da fare a Tropea, secondo te, c’era la cura dell’estetica, specialmente nel centro storico. Pensi ancora la stessa cosa?
Si, certo. Immagino però che la ristrutturazione dei palazzi nobiliari del centro storico rappresenti un’operazione complessa, che chiama in causa molteplici competenze e una notevole capacità di concertazione. Ma qualcosa si sta facendo già per la pavimentazione delle tipiche viuzze, vedo. Amministrare un comune è un lavoro quanto mai ingrato, soprattutto se il comune possiede le caratteristiche di Tropea, e credo che chi si trovi in questo cimento vada incoraggiato e sostenuto.
E ai giovani che vanno via dalla Calabria, cosa vorresti dire?
Di formarsi per bene, e poi di tornare. Qui c’è tanto da fare!