Alvaro: amori e donne in Aspromonte

“La pigiatrice d’uva”: il dramma di un amore non corrisposto
In uno scenario campestre settembrino, tra “afa pesante, cielo velato da vapori, cicale arrabbiate”, Alvaro ambienta il racconto di un amore perverso, ossessivo, dall’epilogo tragico.
“La pigiatrice d’uva” non ha un nome, né un profilo identitario, è una donna come tante, vittima di abusi verbali, ricatti, minacce, soprusi.
La giovane è oggetto di attenzioni da parte di un vecchio vendemmiatore, intenzionato a importunarla, a possederla ad ogni costo, senza la benché minima considerazione della sua volontà. “L’uomo era divenuto fosco, e guardava la donna di sotto in su come se la vedesse per la prima volta. Ella scorgeva tra foglie e foglie gli uomini al lavoro, e si riposava dall’arsura delle loro occhiate nei verdi segreti tra vite e vite”. Ogni premura dell’uomo viene schiettamente rifiutata dalla donna: “Vuoi che ti asciughi il sudore? Non voglio.(…) Perché mi rispondi così?. [the_ad_placement id=”laterale-1″]
In questa breve sequenza dialogica si coglie la morbosità dell’uomo che non riesce ad accettare e tanto meno a comprendere il mancato possesso, in una realtà sociale e culturale nella quale persino lo stupro poteva essere legittimato. Il racconto si conclude con la ragazza che si innamora del figlio del padrone, apparso in modo fulmineo durante la vendemmia ; suscitando la reazione impetuosa dell’anziano e lasciando presagire l’imminente e ineluttabile vendetta carnale: “Voglio quell’uomo, lo voglio andare a cercare. Non voglio più nessuno, nessun altro che lui. Andate via quelli che mi state intorno.(…) L’uomo (l’anziano vendemmiatore) aveva messo la mano in tasca e si gingillava stupidamente con un coltello.” La narrazione apre spiragli importanti, in merito al famigerato ma profondamente diffuso delitto carnale nell’Italia degli anni Trenta. Quando “Gente in Aspromonte” veniva pubblicato vigeva l’articolo 587 del Codice Penale Rocco, che recitava: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia, della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa , è punito con la reclusione da tre a sette anni”, una punizione blanda che ne giustificava l’atto. Negli stessi anni, se un uomo commetteva uno stupro, poteva evitare la pena detentiva, sposando la donna e pagando le spese del matrimonio. Un semplice racconto letterario, come “La pigiatrice d’uva” necessita di essere inserito in un contesto storico molto preciso, benché l’opera si concluda con un’allusione. Questo per immaginare quale fosse il ruolo femminile in un paese d’Aspromonte, la cui esistenza si spendeva interamente nei campi. La giovane tuttavia, non presenta un atteggiamento remissivo; al contrario, si mostra audace, sprezzante, chiara, si permette il lusso di sfidare. È da questo punto di vista, un personaggio femminile sì anonimo, ma con sfumature caratteriali forti, comune probabilmente ad alcune donne che al ripiego preferivano il martirio.